
3. La teologia della pace nella Gaudium et Spes
La Gaudium et Spes è uno dei quattro documenti fondamentali del Concilio Vaticano II (1962-1965) che sulla pace muove dall’esperienza della seconda guerra mondiale, con l’olocausto degli ebrei, la bomba atomica, i bombardamenti a tappeto …: stermini e genocidi programmati come normale esercizio del potere, con armi capaci di distruggere la vita dell’umanità intera.
Auschwitz come Hiroshima sono una realtà mai esistita e costituiscono l’esperienza di un rischio comune in una sorte comune per tutti gli uomini.
Questa novità assoluta conduce il Concilio ad affrontare problemi morali vecchi (la guerra), che si pongono però in situazioni così diverse, da richiedere soluzioni nuove.
Così la Gaudium et Spes ci dà una vera teologia della pace.
Viene introdotto anzitutto il concetto di “famiglia umana universale”, concetto biblico, ma senza risonanza sociale, giuridica, teologica.
“In questi nostri anni l’intera società umana è giunta a un momento sommamente decisivo …
Non potrà tuttavia costruire un mondo più umano per tutti gli uomini su tutta la terra se non ci convertiremo tutti con animo rinnovato alla vera pace” (n 77).
Per il Concilio si tratta di un’esperienza nuova diffusa in tutto il mondo, che fa sorgere un dovere morale nuovo verso l’umanità: al di là dell’impegno pur doveroso verso il proprio stato.
Ciò sta alla base della rilettura del messaggio evangelico per cui va maturando una concezione della Pace sempre più vicina alla pace annunciata da Cristo.
Per la teologia morale e la catechesi nasce un capitolo inedito.
Si delinea così “una vera e nobilissima concezione della pace” che chiama i cristiani a collaborare con tutti perché venga realizzata (n 77).
Il numero 78 è dedicato alla natura della pace, perché la chiesa conosca il disegno di Dio è la sua stessa missione nella storia.
“La pace viene definita con tutta esattezza “opera della Giustizia” (Is. 32,17) “.
“È il frutto dell’ordine impresso nell’umana società dal suo Fondatore, che deve essere attuato dagli uomini, aspiranti ardentemente a una giustizia sempre più perfetta”.
“Non si tratta di semplice assenza di guerra, né di rendere stabile l’equilibrio di forze contrastanti, e nemmeno di un ordine imposto da una dispotica dominazione, ma dell’instaurazione dell’ordine voluto da Dio”.
È la visione biblica della pace.
Viene così evidenziata l’idea di una società umana unica, fondata da Dio, presente come appello nella coscienza di ogni uomo.
È la concezione teologica della storia che attraversa tutta la Gaudium et Spes: la famiglia umana come tale è chiamata a diventare famiglia di Dio; è la storia dell’umanità tutta che ha per suo fine Cristo (n. 40 e 45).
Purtroppo l’egoismo impedisce di fare del mondo “uno spazio di autentica fraternità” ed è questa la grande battaglia contro le potenze delle tenebre a cui tutti siamo chiamati (n. 37).
Subito coerentemente viene introdotto un concetto teologico nuovo: il concetto di “bene comune del genere umano”.
Questo mette evidentemente in questione il concetto di bene comune del proprio stato, come suprema realtà nell’ordine temporale e, con ciò, il concetto stesso di Stato sovrano.
La consapevolezza della sorte è del rischio comune dell’intera famiglia umana richiede che il conseguimento del bene comune di un singolo stato o blocco, per quanto legittimo, sia condizionato e sia perseguito subordinatamente dal preminente interesse del bene comune dell’umanità.
Questo prevale su quelli perché tale il progetto di Dio.
La pace sulla terra è ricerca della pace dei suoi contenuti concreti, impegno per la pace, cioè:
– l’impegno contro ogni forma di dominio, sfruttamento, oppressione di singoli, di gruppi, di popoli;
– l’impegno per un servizio-solidarietà-corresponsabilità di ciascun singolo, gruppo, stato verso l’intera famiglia umana.
Il bene comune comporta il rispetto per le culture è un netto rifiuto dell’etnocentrismo (G.S. 55), sull’esempio del “Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire …” (Mt 20,28).
Questi impegni vanno considerati come principi che scaturiscono direttamente dall’annuncio evangelico, su cui commisurare ogni forma di impegno storico.
Ne segue il dovere di studio e ricerca delle forme e delle cause strutturali dell’oppressione, come pure delle mie praticabili per aiutare servire i singoli e la famiglia umana.
Tema ripreso fortemente nell’enciclica “Sollicitudo” pubblicata da papa Giovanni Paolo II il 30 dicembre 1987.
Per il Concilio questi impegni hanno un significato teologico: la pace terrena è definita “immagine ed effetto della Pace di Cristo”.
Ciò comporta che l’impegno per la pace è parte integrante dell’annuncio evangelico e del dovere morale cristiano.
– Effetto della Pace di Cristo: è dono del Risorto il fatto che si possa pensare e perseguire la pace in senso pieno; è dono dello Spirito di verità che dal Cristo morente è stato effuso nei cuori degli uomini.
La pace non è così un valore umano o naturale, contrapposto ad altri superiori valori cristiani o soprannaturali.
– È figura della Pace di Cristo: non è una pura immagine, bensì realtà-frutto di salvezza, non ancora piena bensì in cammino verso la pienezza.
Fa parte del Regno di Dio che si va attuando nella storia ove bisogna attivamente inserirsi e fare la propria parte.
Questo compito, essere operatori di pace, incombe su tutti gli uomini, se rispondono alla chiamata interiore sempre presente.
Per questo il Concilio invita pesantemente i cristiani a unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla e attuarla (n. 78).
I n. 79 – 83 sviluppano tre temi che riassumono il dovere di essere oggi operatori di pace.
1) si tratta della provvisorietà di ogni analisi di situazioni di fatto: di qui la necessità della Cooperazione.
2) si tratta del dialogo da farsi con tutti, non solo con i fratelli di Fede (n. 26)
3) si tratta della gravità suprema del dovere morale di operare per la pace:” di esso dovranno rendere conto a Dio che tutti giudicherà nell’ultimo giorno”.