Il CANTO del GALLO

Corrono tempi duri per il mio lavoro.
Mi capita spesso di svegliarmi al mattino e sentirmi depresso.
Non riesco a trovare una ragione del fatto che il mio lavoro sia stato relegato fra le cose inutili, o per lo meno non necessarie.
D’altro canto (è un modo di dire comune!) le condizioni sono tali che al giorno d’oggi non ci sono più limiti tra giorno e notte, alba o tramonto.
Notoriamente il giorno iniziava all’alba e terminava al tramonto.
Il sole, nel suo inalterato cammino, accorciava o dilatava la luce e il buio, in base alle stagioni.
Al giorno s’addiceva il lavoro, alla notte il riposo.


Come sentinella fedele, al primo bagliore un canto breve e più volte scandito si diffondeva per tutto il pollaio, sino all’estremità della fattoria.
Come una molla d’orologio metteva in moto ogni cosa:
le galline scendevano dal trespolo,
il contadino dal letto,
la luce ridisegnava i contorni raschiati dalle tenebre,
la rugiada dallo stelo cadeva a terra.


Dove sono finite le mie nobili imprese?
Dico nobili perché se ben pensate posso vantare popoli che si fregiavano delle mie insegne.
Certo, mi riferisco ai Galli, quella popolazione celtica che portava sull’elmo di guerra due ali di gallo come simbolo di forza e di coraggio anche se, dicono gli esperti, il nome non ha nulla a che vedere con la mia esistenza.


Sta di fatto, però, che sono diventato l’emblema della Francia e altre regioni mi omaggiano nel nome, come il Galles o la Galizia (in Spagna), e posso vantare citazioni altosonanti anche nel Nuovo Testamento, come le lettere di Paolo inviate ai Galati.
Anche nell’Antico Testamento vanto doti di intelligenza (“chi ha dato al gallo intelligenza?” Giobbe 38,36), e di portamento maestoso legato al mio incedere pettoruto (Proverbi 30,31).

E ritorneremo più avanti su questo argomento religioso.

Ma prima vorrei fare memoria di alcune citazioni che mi hanno reso famoso nella letteratura.

Come non ricordare uno dei viaggi più turbolenti della mia esistenza fra le mani di quello sfortunato ‘promesso sposo’, insieme ad altrettanti sfortunati compagni.
Tra l’altro ci avevano resi capponi.
Si sa che i capponi, come è noto, sono in origine galli come gli altri, ma poi all’età di circa due mesi vengono castrati, diventando così più morbidi e saporiti per deliziare con succulenti piatti gli invitati nelle feste più importanti, quali Pasqua, Natale, ma in alcuni paesi anche il santo carnevale!
Naturalmente nel ‘600 allietava anche le feste di matrimonio.
Ed è appunto in una di queste occasioni che sono finito tra le mani di Renzo Tramaglino.
Il matrimonio non si poteva celebrare per la reticenza di un certo don Abbondio.
Bisognava chiedere consiglio sul da farsi e cosa c’era di meglio che consultare un avvocato, anche se di nome faceva Azzeccagarbugli?

Da una persona tanto importante non ci si presenta a mani vuote, così la futura suocera, Agnese, consiglia:
«Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vuote da que’ signori.
Raccontategli tutto l’accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno»
.


Dalla padella alla brace!
«Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente.
Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate».
Un viaggio da brivido.

Come finì lo potete trovare nel seguito del romanzo più famoso in Italia.

Anche un altro letterato, il nobile poeta di Recanati, Giacomo Leopardi, mi ha dedicato un’opera dal titolo significativo: “Il canto del gallo silvestre”, dove il mio ruolo è quello che ho sempre interpretato: annuncio il sorgere del sole, il rinnovo della vita:
«Su, mortali, destatevi. Il dì rinasce: torna la verità in sulla terra, e partonsene le immagini vane.
Sorgete; ripigliatevi la soma (
il peso) della vita; riducetevi dal mondo falso nel vero».

Il poeta però mi rende triste perché, a suo parere «a tutti il risvegliarsi è danno».


Appena si sveglia il misero «ritorna nelle mani dell’infelicità sua.
Dolcissima cosa è quel sonno, a conciliare il quale concorse o letizia o speranza.
L’una e l’altra fino alla vigilia del dì seguente, si conserva intera e salva; ma in questa, o manca o declina
».
Quasi fosse mia la colpa dell’infelicità dell’uomo.

In parte condivido la sua amarezza ma io che ci posso fare?
«Io dimando a te, o sole, autore del giorno e preside della vigilia… sorgendo e cadendo, vedesti tu alcuna volta un solo infra i viventi essere beato?…
Anzi vedi tu di presente o vedesti mai la felicità dentro ai confini del mondo? …
E tu medesimo, tu che quasi un gigante instancabile, velocemente, dì e notte, senza sonno né requie, corri lo smisurato cammino che ti è prescritto;
sei tu beato o infelice.

In realtà l’apice della mia soddisfazione è contenuto in un episodio che è diventato memorabile perché si addice alla mia indole.
È noto che mi diletti con un primo canto verso mezzanotte e un altro verso l’alba.
Gli ebrei, e alcuni altri popoli, dividevano la notte, ascoltando il canto del gallo, in una primaseconda e terza veglia.
Quella era una notte buia e fredda, ma, come mia abitudine dai tempi remoti, me ne stavo appisolato in disparte.
Si intuiva che non sarebbe stata una notte normale.
La gente era accorsa da ogni parte e aveva riempito la città in occasione delle festività pasquali.
Una festa, dicevano, assai importante per gli ebrei, ma anche carica di rischi e imprevisti per via di certe rivalità fra gli abitanti locali e i Romani invasori.

Fino a tarda sera nell’aria aleggiavano rumori di spade, passi veloci di soldati in alta uniforme.
La gente ammassata davanti al tribunale gridava per ottenere la liberazione di un certo Barabba.
Un poco di buono, si diceva.
Un avanzo di galera, è il caso di dire.
E mi chiedevo perché lo volessero libero al posto di quell’Altro, sì quello che non avrebbe strappato nemmeno una penna dal mio piumaggio.
L’avevano condannato e tutti i suoi sostenitori, o quasi, che negli ultimi anni avevano vissuto con lui, lo avevano abbandonato per paura di fare la stessa fine!
Tutti la stessa stoffa questi umani: a parole giganti, nei fatti inconsistenti!
Insomma, ero immerso nel sonno e si avvicinava l’ora del chicchirichì!
Poco distante un fuoco era stato acceso per stemperare la notte fredda.
Accanto una donna e qualche soldato in un momento di riposo tra un turno di veglia e l’altro.
Pietro, uno dei discepoli si era intrufolato fra i soldati lo seguiva da lontano.
Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche lui si sedette in mezzo a loro.

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Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse:
«Anche questi era con lui».
Ma egli negò dicendo:
«Donna, non lo conosco!».
Poco dopo un altro lo vide e disse:
«Anche tu sei di loro!».
Ma Pietro rispose:
«No, non lo sono!».
Passata circa un’ora, un altro insisteva:
«In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo».
Ma Pietro disse:
«O uomo, non so quello che dici».
E in quell’istante, mentre ancora parlava, puntuale come un orologio mi misi a cantare.
Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte».
E, uscito, pianse amaramente. (Luca 22,54-62).


Ma vi rendete conto?


Io un semplice gallo messaggero del sole che sorge, della luce che infrange la notte, ho ricordato a Pietro la sua incapacità nel saper riconoscere in Cristo, quell’uomo condannato, la luce vera, quel «sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace».

Il canto del gallo unito allo sguardo del Maestro fa “svegliare” l’Apostolo.
E scusate se è poco!

 

Giuseppe Fusi


Immagini:
Il rinnegamento di Pietro, Georges de La Tour (Musée des Beaux-Arts, Nantes)
Mosaico gallo e tartaruga, IV secolo d.C. (Basilica di Aquileia)
Manoscritto medioevale
Negazione di san Pietro, Caravaggio (New York, Metropolitan Museum of Art).
San Pietro e il Gallo, Francesco Rosa ( Venezia, Chiesa di San Zaccaria)