LUCI di NATALE

C’era un tempo quando le luci di natale non c’erano.
La gente non aveva  bollette da pagare.
Il sole, la luna, le stelle riempivano di luce l’universo intero, terra compresa.
A volte la luce non era nemmeno necessaria.
A guidare i passi non erano gli occhi, ma il cuore, e al cuore non serve la luce!
Quando aveva freddo la gente accendeva il fuoco.
Il taglialegna con la sua mannaia sceglieva la pianta giusta e preparava il fabbisogno per tutto l’anno.
Soprattutto per le giornate fredde per mancanza di sole.
Il fuoco era famiglia.
Era luce, calore, allegria, tenerezza, incrocio di sguardi, profumi.
Intorno al fuoco nascevano storie, fiabe, amori.
La luce del fuoco inventava magie, ombre tremolanti proiettate sui muri, faville di vita lanciate nel cielo.

Un tempo le luci non c’erano.
Qua e là lungo le strade si accendevano piccoli lampioni fatti con candele di cera destinati a durare il tempo di uno sguardo.
La luna sospesa nel cielo col suo splendore avvolgeva i borghi adagiati ai dolci declivi delle montagne o proteggeva, come un colorato ombrello, quelli appoggiati sul dorso di picchi vertiginosi.
Quella notte non c’erano luci, non c’erano fuochi dentro le case, e pure la luna restava nascosta sopra le nuvole grige, come se l’inverno nel colmo del suo rigore avesse annullato ogni segno di vita.
La neve scendeva, quieta come sempre, rendendo il silenzio ancora più alto.
Alcuni fiocchi rimanevano appesi ai rami degli alberi spogli, intirizziti dal gelo, o ai fili della biancheria tesi da una finestra all’altra tra i vicoli stretti, come braccia tese in un caloroso abbraccio.
Era la notte di Natale.
Il buio regnava sovrano.
Veniva la luce, ma la luce non c’era.
Allora la luna chiese aiuto al vento, perché con la sua forza aprisse un varco nella coltre di nube, e con uno sforzo immenso si fece piena e sprigionò tutta la luce che poteva.
La terra ancora immersa nella notte, all’improvviso s’incendiò.
I piccoli fiocchi aggrappati ai rami e quelli che lentamente danzavano cominciarono a brillare sulle piazze spaziose e negli anfratti più nascosti, formando catene di luci verticali dai colori mutevoli.
Dalle finestre delle case il bagliore di quella luce rischiarava le stanze.
Adulti e bambini, benché avvolti dal sonno della notte, d’improvviso srotolarono le pesanti coperte e appiattirono il naso sui vetri, sgranando due occhi di stupore intenso. Un miracoloso connubio di neve e luce, improprio per quell’ora tarda, presagio di sorprese mai viste né raccontate, teneva sospesi gli sguardi ripieni di incredulo stupore, punteggiato da altrettante infinite domande.
Le nubi si chiusero e la luna sparì inghiottita dalla notte.
Lungo le strade e i vicoli stretti i cristalli di neve continuarono a brillare come di luce propria per giorni interi conservando gelosamente il dono della luna.
La vita nei borghi e nelle città ritornò alla normalità, ma, quando il buio fasciava le case, gli sguardi puntavano in alto fissi nelle piccole luci appese.
Rimasero giorni, a ricordare che non c’è notte che non abbia bagliori, o case o strade che non abbiano lampade per guidare a quella grotta dove la luce non si spegne.
Pure quando si spense anche l’ultima scintilla.

Ogni anno il mondo intero, in memoria di quel meraviglioso prodigio, appende infinite luci che s’accendono e si spengono al ritmo del battito del cuore.
Perché lì dimora la vera fonte della luce.
Come quando le luci di Natale non c’erano.

(G. Fusi)