Il magistero sulla pace: La follia della corsa agli armamenti (Parte 8 di “La PACE nella SACRA SCRITTURA e nel MAGISTERO della CHIESA”)

Negli anni del Concilio la corsa agli armamenti ha conosciuto un’incredibile accelerazione.
Dopo un’esplicita condanna del Concilio, nel 1976, Paolo VI la denunciò all’ONU come ingiustizia, follia, furto del povero, macchina impazzita e chiese un ripensamento filosofico e teologico delle strutture e della dottrina che a questa tragica corsa fanno da supporto o paravento etico: il concetto di sovranità e il concetto di legittima difesa.
Non risulta che sia stato ascoltato nemmeno il papa attuale (Giovanni Paolo II), che non perde l’occasione per parlarne.
Anche a Pasqua ha denunciato “il lucroso commercio delle armi” causa di tanti mali, chiamati per nome!
I cattolici impegnati in politica hanno contrastato tali opere e tale produzione?
È del dopoguerra nel Golfo la commessa per la vendita di armi USA per 22.000 miliardi di lire in alcuni paesi del Medio Oriente.

Investire nel militare è un affare immane: comporta un programma che rende praticamente inevitabile la produzione bellica almeno per un decennio, specie negli USA dove l’iniziativa è dei privati.
È un mercato in enorme crescita: attira l’investimento di molti gruppi finanziari e industriali che premono e ricattano il potere politico e militare, perché metta nel bilancio le somme necessarie a far fruttare gli investimenti.

Così si è giunti a una situazione di oggettiva oppressione dell’intera famiglia umana, creata dalla collisione tra le strutture economiche e politiche.
Cresce il rischio di guasti, fughe radioattive, inquinamenti (Chernobyl), in gran parte coperti dal segreto militare, incuranti delle sorti dell’umanità, che di fatto sono, per quanto riguarda il nucleare, nelle mani di pochi esseri umani potentissimi.

L’esuberante produzione di armi e il loro rapido invecchiamento tecnologico impongono di smerciarle, cioè di cercare guerre, inventarle, inasprirle.
Il traffico delle armi, essenziale all’attuale economia, spiega il rifiuto dei governi europei ad ogni legislazione sulla totale pubblicità e trasparenza di tale produzione e commercio.
La corsa accelerata agli armamenti la si vuole anche in Italia riqualificando l’esercito e fornendolo di alta tecnologia!

Ciò sottrae risorse di ogni tipo ai bisogni fondamentali: risorse non rinnovabili dilapidate, risorse di lavoro, risorse finanziarie indicibili (la guerra del Golfo costò la metà dell’intero debito del terzo mondo!), risorse di intelligenza sprecate nel militare …
Si tagliano le spese per sanità, scuola, cultura, trasporto, ma non per il militare, compreso il finanziamento per la ricerca in questo settore.

Il militare ha, come sua logica, una sua vita che non ha nulla a che vedere con la difesa della patria, ma solo con le esigenze di strutture politiche ed economiche.
Modelli mentali atavici, mantenuti dai mezzi di comunicazione, sono là a tutelare la bontà e l’accettabilità morale delle scelte militari.

“Pacifista – papalino” è un’espressione di commiserazione, se non un insulto, nuovamente in auge, sostenuto e propagandato da firme illustri sui giornali.

I modelli dello stato sovrano e della guerra giusta sono il paravento per ottenere il consenso popolare per tale immane tragedia dell’umanità.
Si tratta di una cultura di guerra che ha avuto or ora una recrudescenza che si pensava ingenuamente tramontata: il militare è l’elemento dominante nei rapporti internazionali, è in realtà l’unico che regola la convivenza umana sulla terra.
Non per nulla il papà ha parlato, pieno di sconforto, di “sconfitta del diritto internazionale”.
Ma tale cultura è promossa con ogni mezzo dalla struttura del potere economico, che trova massimi profitti nel produrre armi sempre più sofisticate e distruttive.
Per coprirsi con pretesti e paraventi plausibili il potere politico – economico è perfettamente attrezzato: i mezzi di comunicazione sono quasi totalmente nelle sue mani ed è per questa via che si trasmettono quei modelli di “ostilità, disprezzo, diffidenza”, quindi “odi razziali e ostinate ideologie” che la “Gaudium et Spes” addita come radice popolare che rende vani gli sforzi degli operatori di pace (n.82).