La PACE nella Sacra Scrittura e nel Magistero della Chiesa

In questo momento drammatico riproponiamo le riflessioni che don Fiorenzo aveva preparato per Vita Trentina in occasione di un’altra recente tragedia umana, la guerra del Golfo 1990-1991.

Subito prima della Passione, in cui Gesù vince la violenza, meditiamo le prime due parti, sperando che l’umanità ascolti il messaggio di Dio e prima dell’Ascensione si sia arrivati alle ultime due parti: “L’uso immorale delle armi” e “La buona scelta della non violenza”.

La PACE nella SACRA SCRITTURA e nel MAGISTERO della CHIESA

Pace, vero volto di Dio

“La guerra è avventura senza ritorno” ha ribadito più volte e in forme diverse Giovanni Paolo II.

La Chiesa, dunque, pur dopo un cammino spesso travagliato e compromesso, esprime ora con chiarezza la sua condanna verso ogni forma di violenza e di sopruso contro l’umanità.
Ma quali sono i fondamenti biblici e teologici che stanno alla base di queste affermazioni?
Perché la Chiesa condanna questa guerra nel Golfo Persico, così come ogni guerra, invitando tutti a pregare e ad agire perché abbia a cessare ogni conflitto tra i popoli?

Vita Trentina, nel tentativo di dare una prima risposta a questi interrogativi, ospita, a partire da questo numero, una serie di riflessioni a firma di don Fiorenzo Chiasera, docente di Teologia Morale presso il Seminario diocesano.
Con lui cercheremo di analizzare, incominciando da quanto afferma la Sacra Scrittura, quali siano le ragioni del pressante invito alla pace e alla non violenza.

INDICE

1.      Guerra e pace nell’Antico Testamento
2.      Guerra e pace nel Nuovo Testamento
3.      La teologia della pace nella Gaudium et Spes
4.      I diritti dell’uomo
5.      Lo Stato sovrano e la guerra giusta
6.      Dalla guerra giusta alla legittima difesa
7.      La condanna di ogni strage e distruzione
8.      La follia della corsa agli armamenti
9.      L’uso immorale delle armi
10.    La buona scelta della non violenza

 



1. Guerra e pace nell’Antico Testamento

Un Dio combattente?

La storia ebraica, storia del popolo di Dio, inizia con un Dio che si mette fortemente dalla parte degli schiavi, degli sfruttati;
combatte e libera il suo popolo con un intervento efficace.
Il risultato è un atto di fede in Dio combattente.
“Il popolo vide e credette” si legge nel libro dell’Esodo.
“Fuggiamo di fronte a Israele, perché Jahwé combatte per loro”, gridano gli Egiziani in rotta!
“Voglio cantare al Signore … cavallo e cavaliere ha gettato in mare”, canta Maria, sorella di Mosè.
Dunque un Dio violento quello presentato nell’Antico Testamento?

Va subito detto che questa è una proclamazione di fede, uno schema simbolico con il quale gli Ebrei esprimono la fiducia nell’intervento gratuito ed efficace di Dio in favore degli oppressi.
Tuttavia, mentre si utilizza questo schema, i profeti, a partire da Elia e in seguito Isaia e Geremia, condannano l’organizzazione politica in funzione della violenza nell’esercito e nella guerra.

Il salmo 20 proclama: “Chi si vanta dei carri e chi dei cavalieri, noi siamo forti nel nome del Signore nostro Dio”.
La conferma di questa strategia si ha in Isaia che va incontro ad Achaz intento a ispezionare le fortificazioni:
“Non avere paura dei re del Nord. Sono due tizzoni fumanti … Il nostro aiuto non sta nelle fortificazioni, né nelle alleanze militari con l’Assiria, ma nel Signore.”

Per i suoi interventi Geremia rischia addirittura il carcere.
Infatti, pur non essendo un disfattista, tuttavia destabilizza la difesa violenta, dissuadendo i soldati dalla lotta.
Geremia va presentato come obiettore della guerra.
Solo Dio può salvare!
Fidiamoci di Dio e non degli armamenti militari!
Questo il senso del suo messaggio.

In tale prospettiva si può collocare la promessa di un’epoca di pace, i cosiddetti tempi messianici: non è una pace ecologica – confronta Isaia nel cap. 11 – ma il superamento del metodo violento per risolvere i conflitti.

 



2. Guerra e pace nel Nuovo Testamento


Gesù Cristo parola di pace

Gesù si colloca nella scia dei profeti, portando a compimento la logica della pace per la convivenza della famiglia umana.
I poveri sono i primi destinatari dell’amore di Dio.
E questo annuncio del regno rappresenta il cuore del Vangelo.

Alla base di tutto c’è la rivelazione e la riscoperta del nuovo, vero, volto di Dio come Padre.
Ci basta leggere la parabola del figlio prodigo, quando Gesù si giustifica di fronte a chi lo accusa: tutti e due i figli devono scoprire il nuovo volto del Padre che, commosso, va incontro al figlio prodigo; è colui che esce per invitare in casa l’altro figlio offeso della sua misericordia al punto da ritenersi nulla più di un servo.
Ma è solo così che i due (figlio prodigo e figlio fedele) potranno essere fratelli.

Dunque, sia i fedeli, che i peccatori sono chiamati a vivere la fraternità, una meta raggiungibile solo se insieme scopriranno questo nuovo volto di Dio che utilizza un criterio diverso dal nostro pe stabilire la giustizia.
Pure questo è cuore del Vangelo, è il Regno!

La nuova immagine di Dio è quella del Padre che dona gratuitamente, che ridà sempre fiducia, che rende possibili rapporti nuovi, riconciliati:
ecco da dove viene la fraternità, ecco il fondamento della pace, concepita dal Nuovo Testamento come un insieme di rapporti reciproci basati non sul dominio, ma sulla benevolenza gratuita, la misericordia, la cura del debole.
È questa la logica di Dio per il suo popolo, promessa già nell’Antico Testamento a tutti i popoli.

Conseguenza di tutto ciò è la morte di Gesù che smaschera il potere dominatore, economico, religioso o politico (ebraico come romano).
Poiché, nel contrasto, non scende a compromessi, deve essere tolto di mezzo.
E proprio nei racconti della passione che troviamo i testi classici in cui Gesù condanna la rappresaglia:
“Rimetti la spada nel fodero …”, intima a chi vuole difenderlo con le armi e con l’ultimo miracolo della sua vita risana Malco.
Non chiede, insomma, un intervento violento del Dio degli eserciti.
Così dopo aver parlato in parabole, compiuto miracoli, messo a nudo i potenti e i violenti, Gesù muore, dando compimento a tutto il messaggio evangelico che parla del Regno.

Gesù è cosciente di compiere un’opera di liberazione in tutti i sensi.
La sua morte rivela il vero volto di Dio: è la glorificazione del Figlio che così glorifica il Padre, perché così manifesta a che cosa arriva l’amore di Dio.
La pace sarà allora il dono del Risorto (ben due volte sottolineato) insieme allo Spirito Santo e alla missione.

Solo in quest’ottica possiamo capire l’esempio e le parole di Gesù quando invita alla non violenza mentre è braccato a morte, ma già prima nel discorso della montagna, invitando a non opporsi al violento con gli stessi suoi mezzi bensì spiazzandolo smascherandone la logica.
Così si disincentiva la spirale della violenza e ci si incammina verso quella pace di Cristo, che supera ogni intelligenza umana (come ricorda Paolo agli abitanti di Filippi), quella pace che può venir compresa solo nella fede.

La prima Chiesa, in coerenza con tutto ciò, quando deve affrontare situazioni di conflitto reagisce con una resistenza attiva non violenta.
Osserviamo Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio, oppure leggiamo Apoc. 13, Rom. 12, 1Pt 2,17.

La Chiesa non si compromette con l’impero ma, lontana da ogni violenza, resiste attivamente anche a costo del martirio.
I conflitti esterni e interni si superano vincendo il male con il bene, facendo trionfare la legge della carità.
Paolo, rivolgendosi ai cristiani di Roma li invita a essere “lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli…”.
Nessun posto, dunque, per la logica della violenza, ma un cammino concreto verso la giustizia del Regno e la pace del Risorto, attuata nell’unità della famiglia umana secondo il disegno del Padre.
“Che tutti siano una cosa sola, come tu Padre sei in me e io in te … che siano perfetti nell’unità.” (Gv 17,22-23).