Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta per il terzo millennio!
Nell’incontro si sono condivise storie e cuore, lasciando parlare la vita, nell’ascolto delle domande, delle critiche e preoccupazioni.
“L’ascolto si può fare anche al bar” recita un articolo di Vita Trentina.
Il cammino sinodale è uscire dal guscio dell’Io per respirare il Noi.
Cosa suscita in te la parola Chiesa?
Nota: l’associazione fra i volti e le risposte è casuale.
Mi rendo conto che è prima di tutto la possibilità di stare davanti al mistero di Dio e della Vita, e di stare in compagnia di chi questo me lo incarna e me lo spiega umanamente. Esempio: sono impotente di fronte alla guerra, ma desidero il bene. Il coraggio di stare davanti alla vita così, lo trovo solo nella Chiesa che continuamente ripropone il Signore e le sue parole. La Chiesa fatta di volti, di incontri personali.
La Chiesa come istituzione non è la cosa che mi colpisce di più.
Desidero soprattutto che la Chiesa sia storia di amicizia nella fede.
Invece spesso ci si perde nell’organizzare.
La Chiesa per me è una grande famiglia, vorrei che lo fosse, piena di volti noti, desidero non passare inosservata, constatare che per l’altro conto.
Per prima viene la presenza di Gesù in questa grande famiglia con cose belle e brutte da condividere, non è un gruppo a sé.
È possibile! Anni fa San Rocco era un’unione di famiglie, tutti facevano qualcosa.
All’inizio eravamo proprio così: persone che si sono dedicate a vari servizi, catechesi, diaconato … in tutti i bisogni, sia spirituali che materiali. Io ho fatto per 40 anni il servizio di pulizia alla Chiesa.
La Chiesa è per me partecipazione all’incontro con il Signore nell’Eucarestia e nel Signore trovare la forza per andare avanti.
Comunità di famiglie: famiglia di famiglie che si trovano davanti al Signore per pregare.
Fare comunità è accettare tutti: con pregi e difetti. Agli inizi, prima della costruzione dell’edificio attuale eravamo più uniti, anche fuori gli incontri erano più sentiti. Chiesa come luogo è anche trovarsi per parlarsi, non solo per pregare. Sostenersi.
Porte aperte per l’incontro con il Signore: silenzio, serenità, pace … e poi la comunità:
trovarsi e confrontarsi per vivere meglio il Vangelo.
Nel corso della mia vita ho avuto varie visioni di Chiesa: preconciliare, aperta ai laici, l’arrivo dei movimenti.
Adesso per me la Chiesa è Gesù Cristo che si concretizza. Lui è il perno. Voglio vivere con Cristo, nel cammino tracciato dai successori, sulla pietra in cui Lui edifica la sua Chiesa. Negli interventi precedenti si è parlato di comunità aperta: è vero, possono esserci cristiani che manifestano meno il volto di Gesù dei non credenti: tuttavia senza guida non stiamo in piedi: vescovi uniti al papa guidati dallo Spirito. Se mancasse la guida, tutta la buona volontà e gli stessi sacramenti non basterebbero: l’umanità va guidata.
È comunità dei credenti in Cristo: quando si dice che siamo tutti fratelli l’orizzonte si allarga e penso che tutti possano farne parte. C’è l’esigenza di chiedersi come abbracciare tutti: come possiamo incontrare tutti quelli disponibili?
Ricordo una frase di una suora di clausura: in Chiesa entra per pregare, esci per amare.
Se noi rapportiamo alla Chiesa queste parole non serve altro: è il Signore che ti offre gli strumenti per amare in concreto.
Le esperienza vanno raccontate in dialetto!
La nostra piccola esperienza è un momento in cui bisogna anche accorgersi dei limiti.
Guardando alla nostra vita constatiamo che il Signore non è venuto per creare una religione fatta di riti, ma per dare a ogni uomo, nella vita di tutti i giorni, la presenza di Dio.
La liturgia, la preghiera hanno senso nel momento in cui c’entrano profondamente con la vita.
La Chiesa è prima di tutto quotidianità: il sabato è per l’uomo.
Bello il segno di don Gigi che dopo messa esce a incontrare le persone:
ti chiama per nome!
Dio è tutto in tutto: ogni bene, bellezza, sorriso … c’entrano con Dio, però la comunità dei credenti è il luogo dove questa consapevolezza cresce, è educata.
Qual è la mia esperienza di comunità credente?
La mia prima comunità credente è stata la famiglia, poi crescendo è stata la compagnia di amici nella fede, presenti nei momenti di gioia e di dolore: non idee ma vita, che sgorga dalla vita di Cristo, un nuovo umanesimo.
Per me è un modo di vivere la comunità tra le persone, nei gruppi parrocchiali e di quartiere: Filo Continuo, Quartiere solidale, Punto di Ascolto, un’apertura e un desiderio di aiuto concreto.
La mia prima esperienza è quella della fede viva e sorridente di mia mamma.
Poi la ricerca di un di più e gli incontri, inaspettati e decisivi.
La mia vita di fede è sempre stata legata a incontri, amicizie, rapporti.
Non saprei dire la fede come qualcosa di esclusivamente personale.
Questa esperienza di speranza condivisa e di testimonianza reciproca, mi fa desiderare di vivere così, con tutti.
Sei chiamata a dare qualcosa: io ho sempre dato (catechesi, aiuto in cucina nei campeggi..) e ho sempre ricevuto di più di quello che ho dato. Adesso che sono anziana ho dato disponibilità per il servizio della lettura della Parola di Dio.
Mi sento accolta bene e mi sento parte della comunità.
Essere disponibili e aperti agli altri e non chiudersi nel proprio guscio.
Un sorriso, un saluto.
Ringrazio Dio di aver sempre fatto parte di una comunità: ho iniziato da piccola con l’Azione Cattolica, poi ho prestato servizio come assistenza ai malati e in altri gruppi, belle esperienze con le persone che incontri, esperienze di comunità.
A 14 anni il nuovo parroco mi ha coinvolta dicendomi: pensi che per essere cristiani basti solo andare a Messa?
Da lì sono iniziate tante svariate attività. Sistemazione registri, catechesi … Lui è stata la persona che mi ha scrollato.
Pur con i miei limiti mi sono sempre resa disponibile e mi sono arricchita umanamente e spiritualmente.
Amicizie vere che durano nel tempo, questa è la mia realtà di adesso.
C’è l’esigenza di vivere la fede: ci sono incontri e nella vita di fede ci sono svolte: è un dono!